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Cospirazione Animale di Marco Reggio

Siamo animali complici con gli altri animali

Marco Reggio, Cospirazione Animale

Cospirazione Animale di Marco Reggio è un saggio che, basandosi su fondamenti filosofici potenti e su uno storico di azioni dirette, di esperienze pratiche e di avvenimenti reali, fornisce un concreto spunto per riflettere sulla complessità della questione delle lotte di liberazione, sulla loro interdipendenza e sulla conseguente necessità di inquadrarle in modo intersezionale. Il libro è permeato dalla tensione ad agire, e proprio l’agentività trova ampio spazio all’interno del testo, identificata e riconosciuta anche e soprattutto nella volontà decisionale degli altri animali e in tutte le azioni di resistenza che essi pongono in atto.

Il titolo stesso del libro intende quindi un modo di pensare e di agire basato innanzitutto sull’osservazione di quanto gli animali non umani hanno da dire e che di fatto comunicano; gli atti di solidarietà diretta e indiretta da parte degli umani ne sono inderogabile conseguenza.

La struttura del testo e lo spunto di base

Il libro è suddiviso in cinque capitoli denominati “derive“, termine mutuato dall’Internazionale Situazionista e volto a indicare la valenza pratica e volutamente non esaustiva di queste esplorazioni nei cinque ambiti diversi e legati che il testo affronta.

L’introduzione dell’autore lascia parzialmente aperta la definizione di antispecismo e, anziché relegarla esclusivamente alla sfera delle idee, la colloca subito nel contesto profondamente materiale della sua causa prima, ossia lo sfruttamento animale con le rigide gerarchie di specie, e del suo effetto più logico, la lotta di liberazione.

Reggio spiega perché prendere le distanze dalla denominazione di “animalismo”, terminologia trita e compromessa, in quanto tale limitante e, si può aggiungere, sovente usata come vago dispregiativo da chi nega la natura politica dello sfruttamento: “perchè è associata a un attivismo pietistico e trasversale, che pretende di distinguere sempre e comunque la questione animale da tutte le altre forme di ineguaglianza che attraversano la nostra organizzazione sociale“.

Il termine animalismo, corretto di per sé (siamo tutti animali e lottiamo per i diritti di tutti), nel pensiero comune tende a indicare qualcosa di umano che riguarda il blocco indistinto dei non umani separatamente dalle altre questioni sociali, qualcosa che figura come opzionale, di secondaria o minima importanza, in cui i protagonisti restano in qualche modo sempre umani e nel cui ambito eventuali “concessioni” vengono effettuate a beneficio della “sensibilità” di questi ultimi.

Ecco quindi che l’autore esplicita il suo “imbarazzo” nel dover definire cosa invece l’antispecismo sia realmente, imbarazzo che deriva dal suo posizionamento di umano, adulto, maschio, bianco, normoabile, cisgender. La posizione di privilegio può ritorcersi contro e rendere difficile o apparentemente impossibile “dire” e denunciare l’evidenza dell’orrore o l’incongruenza di fondo (l’ “ecc.” di Judith Butler), come nel caso delle capre e di Agitu nella deriva #1, o della questione della vivisezione (“Il topo o la bambina”) nella deriva #2.

Eppure è inevitabilmente da questo privilegio che occorre “schierarsi concretamente con chi non ce l’ha“, riconoscendone il desiderio di vivere pienamente e di comunicare la propria volontà di liberazione. Il rovesciamento dell’egemonia umana o di alcuni umani attraverso l’azione diretta in collaborazione con gli oppressi è ciò che si intende per cospirazione.

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Le derive

La deriva #1 riprende il caso di Agitu Iudeo Gudeta, storia di un femminicidio in cui l’emancipazione da sessismo, razzismo e colonialismo si interseca e si complica con lo sfruttamento e la prevaricazione di una categoria, quella delle capre, la cui volontà e la cui oppressione vengono invisibilizzati. Una storia finita male, raccontata spesso dai media nei toni paternalistici di chi ha dell’integrazione un concetto di comodo; finita male per Agitu e continuata male – come era sin dall’inizio – per le capre, che felici non erano e non sono mai potute essere.

Reggio racconta la vicenda anche dal punto di vista personale, poiché all’epoca era attivo nel progetto STOPCasteller, oggi più che mai impegnato a causa dei soprusi effettuati proprio in Trentino ai danni degli orsi. La rabbia provata dinanzi a un femminicidio si accompagna per l’autore – e per moltə altrə, compresə chi scrive – alla destabilizzazione del dover e non poter dire di fronte alla posizione di riscattata di una profuga.

Una situazione di partenza di apparente non privilegio, quella di Agitu, laddove tuttavia il privilegio esisteva e si perpetuava nell’esercizio del potere di cui questa donna di fatto disponeva nel gestire – e nel porre fine – alla vita di altri esseri; le capre, appunto, in uno dei tanti contesti falsamente presentati come idilliaci (l’ossimoro della “carne felice”).

La retorica degli allevamenti estensivi e sostenibili, dei piccoli allevatori e addirittura dell’affetto fra sfruttatori umani e sfruttati non umani non era peraltro nuova in Italia nel 2020.

Realtà che incentivano questa retorica, come quella di Slow Food, hanno la doppia finalità di salvaguardare sia un modus economico colonizzatore e capitalista sia la coscienza dei consumatori, che, in fondo, non intendono porre in discussione il loro stesso privilegio di scegliere chi mettere in tavola.

Reggio tuttavia resta inizialmente al di fuori delle sentenze aprioristiche alle quali antepone l’esperienza personale nell’ambito dell’attivismo: nel 2010 il gruppo BioViolenza di cui faceva parte organizza un presidio al salone del Gusto di Torino proprio per spezzare la narrazione del “buono, pulito e giusto” di Slow Food, alla presenza di Vandana Shiva. Ne seguiranno opinioni ed emozioni contrastanti all’interno del pubblico, riflessioni nel pensiero degli attivisti e di sicuro, dalle parole di Petrini, emergerà chiaro un comodo finto paternalismo e una visione di fondo adultista e sessista (“il vero colonialismo è quello di Slow Food, che usa le istanze delle comunità delle periferie del mondo per acquistare consenso nel centro industrializzato“).

Immagine di un pannello di progetto Vivere Vegan la Festival miVeg del 2014
Pannello di Progetto Vivere Vegan ODV al Festival MiVeg del 2014

Marco Reggio riesce a segnalare la via per sciogliere il nodo del dibattito fra i fautori del “benessere animale“, più o meno in malafede, e i sostenitori radicali della liberazione animale, e lo fa attraverso il resoconto di situazioni vere, attraverso l’esperienza personale nei gruppi di militanza, attraverso teorie filosofiche antispeciste, antirazziste, anticolonialiste capaci di destrutturare quella visione monolitica e falsata che vorrebbe replicarsi in eterno negando le miriadi di sfaccettature della realtà.

L’autore si rifà ai Critical Animal Studies, ad Agnese Pignataro, a Marco Maurizi e a molti altri studiosi; soprattutto, individua come ostacoli al dibattito sia il più o meno sommerso desiderio di conservare il proprio privilegio sia le posizioni moraleggianti. Ad indicare la strada tuttavia resta, sopra ogni altra cosa, la volontà – chiaramente espressa e inequivocabile – di tutti gli animali non umani che comunicano e resistono ad ogni azione subita e non desiderata, rimarcando che non esiste alcuna reciprocità nello sfruttamento.

La questione del non essere ascoltati e del non essere presi sul serio viene affrontata specificamente nella deriva #4, “Parlare per altrə”. Grande parte del giornalismo contribuisce a minimizzare e a togliere dignità alle azioni di liberazione e di auto-liberazione quando si tratta di esseri non umani, delegittimandone l’operato anche con l’uso delle virgolette ( la mucca voleva essere “libera“, – non semplicemente libera – quasi fosse doveroso motteggiare sull’argomento). Peraltro i movimenti che sono fioriti sull’idea di essere “la voce dei senza voce”, seppur sinceramente coinvolti e impegnati nell’attivismo e nella lotta, hanno trascurato di rilevare come una voce in realtà gli sfruttati ce l’abbiano; il fatto di passare sotto silenzio ha a che fare in qualche modo con la disabilitazione (deriva #2) e con l’arbitrariamente stabilita supremazia del linguaggio verbale umano (“anche la questione di ciò che conta come linguaggio è una questione politica” – E. Meijer, “La comunicazione politica con gli animali”, cit. in “Cospirazione Animale” di M.Reggio).

La realtà, ci dice Marco Reggio, è che qualunque tipo di comunicazione va interpretata e ogni interpretazione è suscettibile di errori. Questo non significa che si debba smettere di osservare, di ascoltare e di agire: al contrario, molte delle esigenze individuali sono comuni a soggetti e a specie diverse e quindi per noi immediatamente comprensibili; esempi di liberazione e auto-liberazione umana e non umana come quelle di Camilla, Scilla, Mamoudou, Ramy, Molly (di proposito qui elencate insieme, seppure ognuna con peculiarità uniche per come è stata intrapresa e per come è stata strumentalizzata o intesa) hanno in comune la medesima volontà. La stessa che avrebbe un soggetto libero se libero non fosse e di chi, prigioniero, non ha avuto l’opportunità di liberarsi o lo ha fatto senza ascendere alla ribalta della cronaca, subito dopo di nuovo “respinto nella morte” (Massimo Filippi) e nella “zona del non-essere” (Ramon Grosfoguel). Difficile equivocare la volontà di vivere e di scegliere come farlo.

Il blog Resistenza Animale raccoglie molti altri eventi di rivolta dalla schiavitù animale che sono usciti dall’anonimato, smarcandosi da una lettura antropocentrica e condiscendente. Si tratta di un punto di riferimento importante perchè concentra storie di ribellioni, alcune fallite, altre completate con successo, che tengono costantemente vigili e in ascolto chi le segue.

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Banner cliccabile di Resistenza Animale

Anche l’attivismo disabile sta attualmente rifiutando che si parli di disabilità (e disabilitazione) senza che vi siano all’interno dei movimenti esponenti disabili/disabilitati. Illuminante a questo proposito è il saggio Bestie da Soma di Sunaura Taylor dove i concetti della deriva #2 (“Il topo o la bambina”) vengono esposti in modo specifico. La questione della vivisezione e l’abilismo hanno sempre costituito una separazione fra i movimenti per la liberazione animale e quelli per la disabilità: Taylor e Reggio li riportano al comune terreno di lotta. Taylor non rifugge – e anzi ricerca – il parallelo e la comunanza fra la situazione dei non umani e quella dei soggetti disabili, facendo fra l’altro riferimento all’operato di DIIAAR (Disables and Incurably Ill for Alternatives to Animal Research). Reggio mostra come i pro-test abbiano mediaticamente creato ricatti morali, falsi quesiti e trappole per allontanare la cooperazione fra le lotte: in modo delicato, onesto e non divisivo l’autore affronta la questione spinosa della malattia e della vivisezione, non nascondendosi l’esistenza di norme sacrificali storicamente presenti le quali, tuttavia, non sono necessariamente connaturate alla nostra organizzazione sociale, né tantomeno sono indispensabili, a patto che si cambino le prospettive e si lavori sul condiviso desiderio di giustizia.

Occorre anche qui un approccio più politico, capace di ridimensionare il ruolo umano – il nostro ruolo individuale – sul pianeta e che contesti l’irrazionalità del fideismo scientifico assoluto laddove  la scienza promuove il sogno dell’immortalità mentre vengono poste in atto economie scellerate che favoriscono pandemie e una diseguale distribuzione delle cure.

Immagine di un Wet Market a Gapan City
Un Wet Market nelle Filippine. I wet market sono stati individuati come potenziali focolai di virus – Credito 1

Affrontando l’argomento da un punto di vista esclusivamente etico (altri lo hanno fatto con successo anche da un punto di vista scientifico), per una società senza cavie 1 Reggio propone quindi la consapevolezza, il dialogo, la collaborazione e la riflessione su ciò che consegue all’animalizzazione, anche umana, dei soggetti che contano meno nella logica capitalista imperante.

Agendo al contrario, la deriva #3, “Problemi di erezione”, utilizza lo sconfinamento fra categorie per smantellare la dicotomia umano/non umano e riconsiderare  l’animalizzazione, anche umana, in positivo. Reggio riporta alla mente del lettore il vegetarismo della creatura di Frankenstein e soprattutto si avvale del romanzo “Animal’s People” di Indra Sinha (“Animal”, nella versione italiana) in cui le vicende del protagonista raccontano la povertà, la colonizzazione, la subalternità, la disabilità, la labilità del concetto di specie, l’animalizzazione, l’animalità e l’orgoglio di questa. Sullo sfondo di un disastro ecologico raccontato con nomi di fantasia ma realmente accaduto, un ragazzo disabilizzato dalla catastrofe rivendica la sua attuale natura, quale che essa sia, e quali ne siano le cause, in modo ora consapevole, ora più istintivo, e sempre libero.

Animal (questo è il nome non casuale del ragazzo), dalla zona del non-essere sia umano che non umano, “coltiva l’arte del fallimento” e, rifiutando le “liturgie rivoluzionarie” (la retorica fasulla dell’ “andrà tutto bene“), smonta sia le ragioni di superiorità e sicurezza della classe dominante, sia la certezza di vittoria – in quanto umani – di coloro che quella classe la combattono rivendicando i propri diritti ma lasciando indietro chi conta meno ancora, allontanandosi dall’animalità e negandola. Animal è per tutti costoro un pugno nello stomaco.

Poster del film Freaks di Tod Browning del 1932
Poster del film “Freaks” di Tod Browning, USA 1932. I personaggi considerati mostruosi e non a caso esibiti in un circo vengono animalizzati. Nel finale la donna-gallina ne è un esempio palese. I freaks tuttavia hanno desideri e volontà, e prendono le loro decisioni – Credito 2

Altro testo di notevole rilevanza ricordato in questa deriva è “La Politica sessuale della Carne” di Carol Adams, che denuncia il legame di grande parte della cultura maschile e patriarcale con l’alimentazione carnea.

Parodia di genere e parodia di specie si intrecciano per via della natura performativa di entrambe e, se utilizzate in piena consapevolezza, diventano mezzi per destabilizzare le connessioni fra classismo, abilismo, colonialità e norma eterosessuale.

Nella deriva #5, “Smontare delicatamente il mondo” (titolo ripreso da Aldo Sottofattori), Reggio fornisce indicazioni per un’ecologia non antropocentrica, fondata sulla condivisione del pianeta. “C’è chi si occupa degli animali in quanto membri di una specie (una specie in via di estinzione, utile all’economia umana, magari stimolante per l’economia umana, o, per gli approcci biocentrici, parte di un tutto dotato di un valore in sé maggiore dei singoli componenti), e c’è chi si occupa degli animali in quanto soggetti dotati di autonomia” scrive Reggio a pagina 164. La seconda tipologia include sempre la prima – purtroppo non sempre avviene il contrario – e pone  l’accento sull’argomento diretto, ossia sulle vittime prime del massacro, gli altri animali. Solo in seconda istanza si possono enumerare gli argomenti indiretti, ossia i vantaggi che il veganismo apporta alla salute umana e i danni dei derivati animali, gli effetti nocivi degli allevamenti sull’ambiente e sulla diffusione di malattie, il land grabbing, lo sfruttamento e la fame nel Terzo Mondo, tutte conseguenze che un’alimentazione non vegana necessariamente comporta. Marco Reggio tuttavia sottolinea come la parola “argomento”, più che gli aggettivi “diretto/indiretto” costituisca un ostacolo, perchè “le politiche trasformative… non si giocano principalmente sulle argomentazioni… La liberazione animale si gioca, o si dovrebbe giocare, sulle lotte… anche argomentative, ma non solo“. E’ la denuncia da un lato di chi, antispecista, è frenato nella “dicibilità” dei diritti animali in determinati contesti, a causa della scarsa preparazione in questo senso di una parte dell’attivismo ecologista e di una certa idea interiorizzata di inferiorità numerica della persona antispecista stessa. Dall’altro è l’allarme di chi, sempre antispecista, percepisce l’urgenza dell’azione e la necessità di stringere alleanze con chi si occupa di ecologia al di là delle motivazioni di partenza e con chi, in generale, combatte anche altre forme di ingiustizia. D’altra parte Greta Thunberg, Carola Rackete, Angela Davis, impegnate nell’ecologia, nell’antirazzismo, nel marxismo e nel femminismo, sono persone vegane: quando diventa politico e “rifiuta gli aspetti consumistici e salutistici, lo spettro del veganismo è ancora in grado di inquietare” (pagina 173).

VIDEO: Angela Davis spiega il veganismo come questione politica

Reggio attinge a esponenti di correnti anche distanti fra loro: Leo Bersani, Val Plumwood, Timothy Morton, Chiara Stefanoni; ne parla nell’ottica di farli convergere in un discorso teorico che possa portare ad effetti più ampi, che spieghi culturalmente, socialmente, storicamente e psicologicamente alcune cause e conseguenze del centrismo del potere (maschile) e dell’antroponormatività. Studioso sincero e appassionato e conoscitore profondo di teorie filosofiche del passato e contemporanee, Reggio ricorre al pensiero di figure di spicco senza pregiudizio, citando autori antispecisti e non, e mostrando come in questi ultimi molti concetti già contengano istanze con potenziale antispecista da includere e sviluppare. L’autore non effettua mai una critica sterile a concezioni che non condivide pienamente e tuttavia non tace i limiti e le incongruenze che emergono dalla voce stessa di alcuni filosofi e teorici: ne è un esempio il caso di Donna Haraway nell’intervista di Federica Timeto, a cui Reggio dedica un paio di pagine.

Conclusioni

“Cospirazione Animale” è un saggio la cui lettura è indispensabile per chiunque voglia conoscere o approfondire lo stato attuale dell’antispecismo italiano. Marco Reggio, attivista da molti anni e eccellente scrittore, accompagna chi legge in modo semplice attraverso un argomento non semplice, ricco di intersezionalità che devono essere messe in risalto indifferibilmente.

Nelle ultime pagine del suo saggio l’autore rimarca la sua posizione radicale, già precedentemente argomentata con pacatezza e apertura mentale, contro il capitalocene – l’era del capitale – che schiaccia all’occorrenza non umani e umani. La sua posizione è per un’ecologia consapevole del fatto che “la zootecnia è anti-ecologica“, sempre. Viene quindi rimessa nel proprio dilemma quella parte di ambientalismo che vorrebbe godere di un modo pulito e ricco di biodiversità mentre i suoi esponenti continuano a mangiare carne.

Il libro si era aperto con la difficoltà dell’autore nel “dire” quei concetti che tanta parte della nostra specie sembra non volere sentire per mantenere privilegi che, in fondo, non sono davvero tali.

Il potere di mercificare la vita di un altro animale ha un prezzo da pagare, coerentemente con il sistema stesso che assegna valori e stabilisce gerarchie, anche in termini di perdita di libertà individuale e di trasformazione in potenziali prede del profitto stesso.

Soprattutto, è importante ricordare che nell’interdipendenza di un mondo in condivisione sussistono innanzitutto etica, rispetto e una percezione egualitaria, priva di confini netti e ricca di sfumature.

Alla fine, nonostante l’indugio iniziale, Reggio tutto questo lo dice con straordinaria chiarezza.


Podcast di RadioVeg – “Cospirazione animale: intervista all’autore”

COSPIRAZIONE ANIMALE – BIBLIOVEG.IT


VIDEO: presentazione di "Cospirazione animale. Tra azione diretta e intersezionalità", (Marco Reggio, Meltemi 2022), a Milano, Ateneo Libertario, 27 ottobre 2022. L'autore dialoga con Selva Varengo.


Recensione di "Cospirazione animale" di Niccolò Bertuzzi e Alice Dal Gobbo da Il Manifesto in Rete: https://www.ilmanifestoinrete.it/2022/05/07/cospirazione-animale-recensione-del-libro/

Note:

1 "Per una società senza cavie" di Agnese Pignataro, da "Liberazioni - rivista di critica antispecista"


Edizione: Marco Reggio - Cospirazione animale - Meltemi Editore - Collana: Culture radicali, n° 11 diretta da Gruppo Ippolita - Milano, Febbraio 2022


Crediti immagini:

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