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Il virus e la specie – diffrazioni della vita informe di Massimo Filippi

…è la continua espansione – estensiva e intensiva – del capitale ad aver prodotto le condizioni affinché SARS-CoV-2 potesse propagarsi nel modo che stiamo drammaticamente imparando a conoscere

Massimo Filippi, Il Virus e la Specie, pag. 29

L’appello dei politici e del senso comune a favore di un ritorno alla (o della?) normalità deve essere compreso per quello che è: l’inno alla banalità del male…

Massimo Filippi, Il Virus e la Specie, pagg. 13-14

Ormai solo un* Animale ci può rigenerare

Massimo Filippi, Il Virus e la Specie, pag. 41

In questo saggio scritto nel cuore della pandemia di Covid-19, la voce di Massimo Filippi si smarca dal rumore di fondo di opinioni confuse, popolari e istituzionali, riguardo al propagarsi del contagio, alle sue cause e ai possibili rimedi. In “Il Virus e la Specie” egli riprende quei fondamenti scientifici in grado già da soli, se letti correttamente, di mostrare le origini del problema e di indicare possibili soluzioni; l’autore, attivo da anni nell’ambito della questione animale dal punto di vista filosofico e politico, mette in luce i dati a nostra disposizione riguardo alla pandemia e all’utilizzo che ne è stato fatto per ricomporli in un quadro completo in grado di evidenziare i problemi della nostra organizzazione sociale: negazione, abilismo, invulnerabilità di alcuni corpi e sacrificabilità di altri, capitalismo, caparbietà nel non voler riconoscere l’evidenza e nel non voler cambiare.

Il suo approccio ricompone decostruendo: smontando il linguaggio, analizzando le reazioni e gli atteggiamenti dei singoli e delle masse, evidenziando le legittimizzazioni arbitrarie di una violenza normalizzata e normata.

Riprendendo il concetto di zoonosi quale causa di questa e delle passate e future pandemie, Filippi espone la fragilità della categoria di specie che SARS-CoV-2 smantella con i suoi salti, esponendone l’artificiosità gerarchica e utilitaristica.

Immagine del SARS-CoV-2
Modello atomico della struttura esterna di SARS-CoV-2, variante genetica del coronavirus che ha causato la malattia COVID-19, identificato per la prima volta a Wuhan, in Cina, nel mese di dicembre 2019. Cobalto: membrana; cremisi: proteina E; verde: proteina M; arancione: glucosio (glicano) turchese: glicoproteina S (spike) – Credito 1

Spillover

E’ utile effettuare una semplice premessa poiché nel saggio di Filippi emerge una questione, fra quelle essenziali, che merita di essere subito chiarita anche in modo diretto: consultando siti medici e articoli di giornale 1 relativamente al “salto di specie”, il nodo centrale sembra essere quasi sempre un contagio virale che passerebbe “dagli animali all’uomo”.

Questa semplificazione comporta tuttavia alcune problematiche.

E’ errata tecnicamente, poiché qualunque salto cosiddetto “di specie” è da ritenersi inerente all’argomento, indipendentemente dal fatto che abbia o meno ripercussioni orientate all’umano. Secondariamente, con questa espressione si vorrebbero appiattire in un generico “animali” tutti i non umani, pure molto diversi tra loro e non automaticamente e necessariamente “serbatoio” per qualunque virus (il calabrone e la giraffa, per citare Filippi). Infine, l’infelice frase si mostra nel suo intento di rafforzare la rimozione dell’animalità umana, quasi che gli umani possano essere qualcos-altro rispetto al mondo animale, osservatori/spettatori separati da tutto il resto dell’esistente, invulnerabili e non coinvolgibili – se non con grande scandalo – in processi biologici a loro non graditi.

Le conseguenze di questo errore di fondo hanno sia natura sanitaria sia politica.

Di certo rallentano la comprensione delle cause della malattia, l’individuazione di misure di contenimento dei contagi e soprattutto la possibilità di porre in atto un’efficace prevenzione delle pandemie future.

Se pure non dovessimo mai avere a disposizione dati pienamente condivisi riguardo l’origine di questa specifica pandemia, le zoonosi e il domino umano sul pianeta saranno sempre una realtà interconnessa con cui fare i conti.

Lo spiega Massimo Filippi quando ricorda tutti quei viventi che abbiamo definito “animali”, rinchiusi nella loro non-vita di sfruttamento, in condizioni di sovraffollamento e miseria, ridotti a serbatoi di agenti patogeni; parallelamente, rovescio della medaglia dello stesso dramma, l’antropizzazione senza limiti del pianeta, la devastazione continua dei mondi di altre esistenze, la fagocitazione in atto da parte del capitale che, in modo intensivo ed estensivo, ha “prodotto le condizioni affinché Sars-CoV-2 potesse propagarsi nel modo che stiamo drammaticamente imparando a conoscere”.

Viene allora da chiedersi cosa sia realmente la categoria di specie, spesso acriticamente accettata come norma biologica, eppure profondamente sensibile tanto alle contaminazioni negative quanto a quelle positive, alle commistioni, alle relazioni.

Massimo Filippi riporta a galla l’evidenza cancellata dall’immaginario comune e, indicando la pluralità della vita informe, le diffrazioni, le identificazioni e i contagi, sottolinea la labilità dei confini di specie e la loro origine più sociale e politica che scientifica.

Norme e classificazioni cui siamo abituati adottano dunque criteri non neutrali, finalizzati all’invenzione e al mantenimento di gerarchie che consentano la possibilità di annientare la vita di chi, umano o non umano, viene all’occorrenza “animalizzato”.

Filippi non sta sostenendo che l’esistente sia uniforme; al contrario, dalle sue parole si comprende come proprio l’immensa e abnorme miriade di sfumature fra le cosiddette “specie” ne rende impossibile un definito e definitivo ordinamento. Ne consegue che, a maggior ragione, la forzata dicotomia umano/animale contiene ben più di un singolo errore.

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Covid-19, abilismo e sacrificabilità

Il virus i cui effetti si stanno al momento ancora osservando in tutto il pianeta ha, pur nella tragicità degli eventi che il suo passaggio comporta, il grande potenziale di mettere in comunicazione alcuni “spettri” fra loro volutamente dissociati e che Filippi ri-mette in collegamento: innanzitutto l’esclusione e la non considerazione delle/degli animali non umani che, in modo ossimorico, non ne esclude affatto l’appropriazione, e il rifiuto ostinato della vulnerabilità umana.

Occorrerebbe tuttavia un saggio a parte per chiarire cosa si voglia intendere realmente per “umano”.

Leggendo “Bestie da soma” di Sunaura Taylor che mette in relazione disabilità e liberazione animale o “Afro-ismo” delle sorelle Ko, insieme di scritti su femminismo e veganismo nero, i confini dell’ “umano” appaiono molto più sfumati di quel che comunemente si crede.

Questo è possibile a causa del lungo processo storico di animalizzazione delle persone disabili, delle donne, dei popoli indigeni, delle comunità di colore, delle condizioni di povertà, oltre che delle/degli altr* animali. Di fatto, nonostante la tendenza a invisibilizzare il privilegio bianco occidentale del maschio indipendente, cisgender ed eterosessuale, se ne è pervasi e, che si voglia o no, si è permeati dei concetti di abilismo e di produttività. La presenza di umani animalizzati nel corso della storia mostra una volta in più quanto le tassonomie siano arbitrarie: ecco quindi che la categoria di specie vacilla ancora, per quanto nascosta nella sua artificiosità da un immaginario collettivo assuefatto a secoli di architettura sociale basata sul terzo spettro, quello che, come indica Filippi, riguarda la violenza materiale e simbolica.

Questa appropriazione dei corpi e delle vite altrui è legittimata dal concetto di superiorità di qualcuno, l’umano (superiorità sancita da peculiarità estrapolate a tavolino in modo tutt’altro che imparziale), e di conseguente dominio, reso possibile proprio dall’ invenzione della specie “naturale”.

La malattia da Coronavirus è stata presentata dai media come una “guerra” all’umano, con le sue vittime, i suoi eroi e, ovviamente, la prevista “sconfitta” del virus e la “vittoria” della comunità degli uomini, inevitabile epilogo del quale non si può dubitare. Non se ne può dubitare proprio in virtù della martellante, convincente e soprattutto interiorizzata montatura dell’invulnerabilità umana. Viene però da pensare a tutte le vite stroncate dalla pandemia e contemporaneamente private del conforto dei parenti, abbandonate negli ospedali e nelle RSA e non più degne neppure delle rituali consuetudini del lutto – Filippi ricorda le processioni di bare trasportate dai camion dell’esercito a Bergamo 2: quale vittoria per loro?

Anche qui, dunque, emerge la medesima scala di valori costituita da vite che contano di più e altre il cui sacrificio è accettabile (senza dimenticare le vite considerate non degne di lutto, quelle delle/degli animali non umani, che non rientrano nelle statistiche e sono sempre reificate 3). Filippi definisce il mantra della crisi “andrà tutto bene” quale “favola spoliticizzante“, rivolta alla fetta abile e attiva della popolazione cui non si smette mai di ricordare che le conseguenze più devastanti della malattia sono riservate ad anziani e malati, la parte improduttiva della società capitalistica.

A questo proposito è interessante effettuare un confronto con l’articolo di Fabrizio Rondolino, comparso sul Il Corriere della Sera del 28 marzo 2020 con il titolo “Lezioni dal coronavirus: non siamo i padroni del mondo ma siamo diversi dagli altri animali” 4. Rondolino occupa gran parte dell’articolo in una sorta di captatio benevolentiae (indirizzata a ipotetici fan di una generica “natura”?), citando il riappropriarsi degli spazi urbani da parte di alcuni animali durante il lockdown e definendo i non umani come “altri” animali, ammettendo la fragilità umana e, menzionando Darwin, la sostanziale scarsa incidenza del virus osservato in chiave globale ed evolutiva. Nell’ultima, sommaria parte dell’articolo, arriva il “ma”: l’uomo diventa unico animale morale perchè solidale con le componenti più fragili della propria comunità e capace di sovrapporre la collaborazione disinteressata a quella utilitaristica del branco che seguirebbe esclusivamente il principio di convenienza.

In questo modo Rondolino liquida sbrigativamente il discorso dell’affettività presente all’interno delle comunità non umane, negandola, e negando il mutuo aiuto al di là delle esigenze di sopravvivenza individuali che caratterizza invece moltissime di quelle “altre specie” 5. Mostra così di non avere preso informazioni su cosa sia realmente l’animalità e cade nella trappola di chi pretende prerogative di cura e protezione verso il più debole quale esclusività dell’umano.

Ricollegandosi al precedente discorso di Filippi sulla morte solitaria di tutti quegli individui umani, abbandonati con la debole motivazione di un virus circolante, viene da domandarsi piuttosto quale altro animale avrebbe agito nello stesso modo dissennato e sistemico con i propri familiari e compagni di branco, mentre è sempre più evidente che solo una comunità capitalistica, quella sì realmente aderente all’efficacia e alla semplicità nel perseguire un profitto, può arrivare a questo degrado.

Viene ancora da chiedersi: perchè Rondolino ha potuto scrivere questo articolo senza preoccuparsi di argomentare? Perchè ha potuto presumere l’esistenza di “sentimenti” solo nel suo consorzio di appartenenza? Lo ha potuto fare perchè supportato da secoli di animalizzazione delle/degli animali, secoli di negazione di peculiarità comuni a tutta la vita multiforme, secoli di forzate separazioni, di dicotomie e soprattutto di invenzioni di scale gerarchiche e norme sacrificali in base alle decisioni di un’unica parte, quella più aggressiva e centrata su di sé.

La struttura del libro

Il Virus e la Specie è un saggio ricchissimo di spunti che fanno vacillare la narrazione per la quale il “mondo” degli umani coinciderebbe con il Pianeta, una visione sganciata dalla necessità di contemplare la condivisione e la com-passione con tutte le esistenze e i loro mondi.

Il testo è costituito dall’introduzione, nella quale vengono esposte le ragioni della scelta dell’autore riguardo alla realizzazione del libro e un accenno ai contenuti. Seguono poi quattro soglie, più semplici e discorsive, alternate a tre capitoli, più complessi e ricchi di richiami (da Deleuze a Derrida, da Haraway a Horkheimer). Il saggio si conclude con un supplemento, o “coda”, in cui si tirano le fila delle osservazioni precedenti e si indicano le possibili vie di fuga per una liberazione totale dal sistema della schiavitù ordinata che anche gli umani, consapevolmente o meno, subiscono.

Il finale, per chi abbia voglia di mettersi in ascolto, indica la visione su un mondo nuovo di possibilità.

Immagine dell'Axolotl
Axolotl. Massimo Filippi in “Il Virus e la Specie” si avvale fra l’altro di questa salamandra per il suo potere rigenerante e le sue magnifiche peculiarità “mostruose”, citando Nina Cassian e Donna HarawayCredito 2

I mostri

Un parte del libro è dedicata ai mostri.

Il mostro pallido è l’ animale normalizzato dallo sfruttamento, quello creato in laboratorio, quello generato dalle torture, quello reso disabile dall’allevamento, presente ma nascosto.

Insieme agli altri mostri, immaginari e reali, può acquisire invece il potere di dominare l’inconscio collettivo.

I mostri attraggono e respingono perché restituiscono, attraverso la loro natura più profonda, la nostra stessa natura. I mostri sono positivi nel loro violare i confini fisici, di specie, ideologici, nel loro stabilire relazioni, nel loro potenziale rifiuto a riprodursi, nella loro propagazione trasversale, nella loro violazione di ogni regola. Il mostro è liberatorio perché noi siamo mostri, ed è liberatorio perché è sovversivo e dice che anche noi possiamo essere sovversivi.

Il capriolo che corre lungo la spiaggia di Savona durante il lockdown è l’animale criminale, che occupa gli spazi senza regole, che viola l’ordine prestabilito col suo essere inoperoso e improduttivo. E’ animale politico, è singolarità insostituibile che attrae proprio per il suo essere meravigliosamente fuori posto e per il suo indicare un percorso di liberazione.

Il mostro è un individuo unico, prezioso, interconnesso e politico.

Individuo che poi, come noi, come tutt*, è “assemblaggio multispecie”, come ricorda David Griffiths nell’articolo comparso su Liberazioni nella primavera del 2022 6, citando Ed Cohen, che descrive anche i virus come “naturalmente transfrontalieri”. Pensarsi come entità simbiotiche e agglomerati di cellule aiuta a comprendere meglio la permeabilità verso l’Altro; arrivare anche a lasciare – se pure a tratti – il senso di sé come individuo aiuta sicuramente a perdere quello di specie. La realtà si fa più chiara.

Osservando la pervicacia del resto dell’esistente nel condurre la propria vita secondo le proprie regole, possiamo capire che il piccolo punto di vista parziale dell’umano non è in grado di attribuire valori, stabilire separazioni o sancire giudizi perchè non è del tutto in grado né di comprendere né di comprendersi.

Come l’axolotl che si rigenera, anche noi possiamo rigenerarci, se lasciamo che l’axolotl ci indichi la via.

VIDEO: intervento di Massimo Filippi presso il 2° Convegno Nazionale sull’antispecismo del 2014 – dall’identità all’indistinzione

Note:

  1. Sull’imprecisa commistione biologica e politica del significato di “spillover”
    (solo alcuni fra i numerosi articoli contenenti errori):
    https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/tools-della-salute/glossario/spillover-salto-di-specie
    https://www.nurse24.it/dossier/salute/spillover-salto-specie.html
    https://www.facebook.com/izsvenezie/videos/740132016916110/ dove, fra l’altro, si nega lo sfruttamento dei non umani e si parla di ipotetici “reciproci vantaggi” nella violenza dell’allevamento, ignorando deliberatamente la non consensualità della relazione e reiterando più volte la distinzione umano/animale;
    https://www.lastampa.it/rubriche/la-voce-dei-lettori/2020/12/14/news/coronavirus-e-laboratori-di-ricerca-non-esiste-una-prova-definitiva-del-salto-di-specie-da-animale-a-uomo-1.39659416/
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  2. Camion militari trasportano bare dei morti di Covid-19 fuori Bergamo:
    https://www.ilpost.it/2020/03/19/coronavirus-bare-bergamo-esercito/
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  3. uno solo fra innumerevoli esempi: https://www.agi.it/estero/news/2022-11-01/covid-strage-di-visoni-in-danimarca-crisi-politica-18670014/
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  4. https://www.corriere.it/animali/bonnie-e-co/notizie/coronavirus-ci-insegna-perche-siamo-diversi-altri-animali-f307f2a2-70db-11ea-a7a2-3889c819a91b.shtml
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  5. per una non esaustiva carrellata di esempi di aiuto e cura disinteressati fra animali non umani, anche di “specie” diversa, si veda “Bestie da Soma” di Sunaura Taylor, Edizioni degli Animali 2021, pagg.72-73-74
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  6. David Griffiths, “Teoria queer per licheni”, Liberazioni – rivista di critica antispecista n°. 48, primavera 2022, pagina 18 – Link diretto al file ,pdf scaricabile gratuitamente
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Prima edizione: Massimo Filippi – Il Virus e la specie – Diffrazioni della vita informe
Mimesis Edizioni / Collana: Eterotopie n° 642 – 2020

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Crediti immagini:

    1. Credito 1: immagine del modello atomico della struttura esterna di SARS-CoV-2, variante genetica del coronavirus che ha causato la malattia COVID-19. Caricata su Wikimedia Commons dall’utente Alexey Solodovnikov in data 04/05/2021 con primaria sorgente NIH e distribuita con licenza Creative Commons – Attribution ShareAlike International 4.0
    2. Credito 2: immagine di un Axolotl. Caricata su Wikimedia Commons dall’utente TheDuckfurtr in data 10/02/2022 originariamente distribuita sul portale di immagini Pixabay dall’utente LaDameBucolique in data 02/04/2017, revisionata un data 15/02/2022 dall’utente Barrely e distribuita su WikiCommons con licenza Creative Commons Zero
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