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Tropico del Cancro di Henry Miller

Forse siamo condannati, non c’è speranza per noi, per nessuno di noi, ma se è così lanciamo un ultimo urlo d’agonia e di sangue aggrumato, uno strillo di sfida, un grido di guerra! Basta coi lamenti! Basta con le elegie e le trenodie! Basta con le biografie e le storie e le biblioteche e i musei! Che il morto mangi il morto. E noi vivi danziamo sull’orlo del cratere, un’ultima danza di morte. Ma che sia una danza!

Henry Miller, Tropico del Cancro

Romanzo autobiografico visionario, ispirato sia dalla realtà sia dal surrealismo, scritto in un linguaggio eccelso, deliberatamente privo di ordine cronologico e spesso puro flusso di coscienza, Tropico del Cancro ha impiegato molti anni prima di essere pienamente compreso e collocato  fra i capolavori del ‘900.

Immagina di una vecchia cartolina di Parigi
Cartolina della vecchia Parigi – Credito 1

I tropici a Parigi

L’ambientazione parigina dei primi anni ’30 (il libro fu scritto nella capitale francese e pubblicato per la prima volta dall’Obelisk Press di Parigi nel 1934) si pone in contrasto con il titolo, che rimanda a paradisi tropicali piuttosto che alla metropoli gelida, brillante e piena di vita, umida e sporca e brulicante di umani derelitti e ambienti sordidi che fa da sfondo e a volte da co-protagonista al romanzo.

Lo scrittore soffrì in più occasioni il freddo della città e in alcuni passi lo descrisse: l’estrema indigenza in cui versava talvolta gli rendeva impossibile scaldarsi a sufficienza o permettersi di entrare in un bistrot per ripararsi da un acquazzone improvviso. Eppure, aggiunge, proprio nonostante l’umidità e il gelo dell’inverno a quella latitudine, ogni particolare della Ville Lumière sembra emanare calore: dalle luci dei locali all’illuminazione pubblica fino a ogni piccolo angolo in cui le persone si raccolgono regala una sensazione di tepore. Forse si tratta solo di un disperato e insoddisfatto desiderio di Miller stesso, che di contro descrive Parigi nelle giornate soleggiate o al sopraggiungere della primavera in tutta la sua bellezza e vitalità, e i francesi diventano “il miglior popolo del mondo quando brilla il sole”.

E’ possibile che la percezione del tropico sia anche puramente mentale: l’entusiasmo e il fervore, il “delirio”, per dirla con le parole dell’autore, sono di per se stessi un’emanazione di calore, un inno all’euforia che Miller perseguì per tutto l’arco della propria esistenza.

Immagine di Henry Miller in Grecia
Henry Miller durante la sua permanenza in Grecia (1939-1940) – Credito 2

L’ambiente, il linguaggio, il pensiero

Pur nel rispetto formale della sintassi, il fluire di libere associazioni rispecchia in parte il modo di essere dello scrittore, la sua insofferenza alle regole imposte dalla società moderna, il suo sguardo sul disfacimento della cosiddetta “civiltà” attraverso una visione frontale, priva di paura. Nello stesso tempo però Miller rimane passivo nei confronti dei drammi del tempo, il fervore vitale e letterario indirizzati verso altri temi, mentre agli eventi mondiali viene riservata una sfida silenziosa, una condanna muta e fiera.

La politica, intesa come mera gestione dello Stato, non lo interessò mai: all’inizio della Grande Depressione si trasferì in Europa e visse insieme ad altri espatriati squattrinati la vita del clochard, tra lavori e pasti parimenti saltuari. Gli ambienti sono quelli degli alberghi economici pieni di cimici, dei postriboli sudici al cui interno si muovono personaggi tormentati dallo scolo, dei locali in cui bere a poco prezzo in compagnia di una straripante umanità negletta.

Logicamente Miller era perfettamente conscio della contemporanea ascesa del nazismo; lo scoppio della seconda guerra mondiale lo riportò di fatto dalla Francia alla Grecia e poi nuovamente in America.

Ogni rivolgimento mondiale sembrava tuttavia non riguardarlo direttamente, o almeno non essere abbastanza degno o rilevante da entrare nella sua opera.

Ciò nonostante si può affermare che una presa di posizione politica e sociale egli la affermò proprio attraverso il modo di condurre la vita, rovesciando i valori riconosciuti dalla maggioranza e anticipando in una certa qual misura la moderna impostazione queer quale azione disturbante e destabilizzante all’interno di un sistema centrato esclusivamente sulle miserie del falso perbenismo e dell’ideologia del profitto.

Il crollo di Wall Street aveva fatto abbandonare Parigi alla maggioranza degli stranieri, artisti o sedicenti tali, che avevano in precedenza preso d’assalto la capitale francese nel decennio tra il 1920 e il 1930, ma non aveva avuto reale potere sui veri artisti o sui veri furfanti, per dirla alla George Orwell, fra i quali Miller e il gruppo che egli frequentava.

Costoro vissero il periodo successivo al ’29 come se quella data non avesse avuto alcun peso sull’economia mondiale, apparentemente dimentichi di trovarsi negli anni ’30 e non nel decennio precedente.

Una simile scelta di vita assume tuttavia una sua precisa valenza, e nulla ha a che vedere con l’esistenza apparentemente irresponsabile e inconsapevole che certa critica, soprattutto passata, avrebbe voluto ricondurre alla personalità dello scrittore.

Di fatto la passività e l’accettazione lucida degli eventi mostrate da Miller non riguardano né l’ingenuità né il desiderio di negazione: al contrario, come sostenuto precedentemente, guardare in faccia l’orrore senza paura – pur nella consapevolezza della propria impotenza – rappresenta già di per sé una denuncia degli avvenimenti, siano essi di carattere globale oppure più particolare e personale.

Senza effettuare un’aperta critica l’autore riesce dunque a mostrare la follia dei ritmi frenetici della società moderna e l’indifferenza degli uni verso gli altri, in particolare verso gli ultimi, i reietti, capaci di mostrare infine più generosità e comprensione della maggioranza.

Per questa accettazione gioiosa della vita Miller è stato paragonato a Whitman, sebbene i contesti in cui i due autori si trovarono fossero così tanto diversi da rendere probabilmente più onore a Miller per la sua capacità di conciliare la gioia di fondo con una visione pessimistica e con condizioni di esistenza gravemente e oggettivamente precarie.

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Immagine della forma di Henry Miller
La firma di Henry Miller – Credito 3

Il linguaggio di Henry Miller

Il linguaggio elevatissimo eppure sempre concreto e legato al quotidiano venne per anni ritenuto osceno, tanto che i libri di Henry Miller furono vietati in tutti i Paesi anglofoni fino all’inizio degli anni ’60.

Un’analisi onesta tuttavia rileva che anche all’epoca la ruvidezza del lessico poteva apparire scandalosa solo in relazione alla pagina stampata, mentre nella vita reale certe espressioni trovavano spazio allora tanto quanto lo trovano oggi.

Altra questione da non trascurare è la non gratuità della presenza del sesso nel romanzo, cosa che distingue nettamente Tropico del Cancro dal racconto pornografico: le imprese erotiche, anche quelle assurde, volgari o disperate, occupano il loro spazio nel senso generale della narrazione, acquistano il loro significato e diventano espressione liberatoria e dissacrante. Sono anch’esse, in un certo senso, azione politica. Sono anch’esse descrittive di una realtà mostrata pienamente, senza censure, esposizione onesta della vita vera, dissezione dell’intima essenza dell’uomo che non ha paura di mostrarsi, cosicché l’iniziale avversione provata da chi intraprende la lettura è in parte inconscia espressione del fastidio di vedere dissezionata ed esposta la propria stessa intimità.

Immagine di Henry Miller davanti alla libreria al Big Sur
Henry Miller e la sua libreria a Big Sur – Credito 4

I personaggi

Come già menzionato, i personaggi che si muovono all’interno di questo romanzo atipico sono soprattutto stranieri che in Francia cercano – per lo più vanamente – la propria fortuna, o quantomeno un’esperienza di vita unica.

Protagonista è Miller stesso perché, come egli spiegò, Tropico del Cancro è essenzialmente un’autobiografia che irrompe all’interno dello schema libero del romanzo.

Lo scrittore mostra grande abilità nel tratteggiarsi più profondamente di quanto non faccia con gli altri personaggi senza peccare di esplicito protagonismo; descrivendo le situazioni e comparendo essenzialmente come osservatore, egli riesce a mostrare se stesso trattenendo il lettore nel proprio punto di vista, non facendolo mai uscire dal campo visivo dei propri stessi occhi. Difficile immaginare un protagonismo maggiore e nello stesso tempo assolutamente privo di forzature.

Questi stessi occhi volgono lo sguardo su un variopinto panorama di personalità non altrettanto approfondite, che affiorano come scene su cui il sipario si apre e si chiude in totale naturalezza: Carl, Van Norden, Tania, la principessa russa, Fillmore, Collins, ovviamente Mona e molti altri; reali protagonisti restano gli ambienti, le situazioni, l’entusiasmo e la follia, qualche accenno malinconico e soprattutto la sensazione del grande circo umano che scorre continuamente.

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Legami con la Beat Generation

Senza voler qui effettuare un’analisi completa delle affinità dell’opera di Miller con quella degli autori della Beat Generation, è doveroso ricordare che almeno in Italia esse vennero viste come collegate, e non a caso.

Confrontando Tropico del Cancro con Sulla Strada di Kerouac, è evidente la somiglianza dell’autobiografia in forma di romanzo dove il narratore  coincide con il protagonista, la politica non la fa da padrone, i personaggi sono spesso borderline e persino il finale diventa similmente contemplativo, mentre gli eventi seguono il loro corso e i personaggi altro non possono fare che accettarli ed essere felici del e nel momento presente.

Il mondo deve molto a tutti questi autori capaci di tradurre in parole un sentire comune (Orwell direbbe che le situazioni descritte appaiono “familiari”) liberando da modelli troppo costruiti e in sostanza non completamente reali.

Nel ventre della balena (e poi di nuovo fuori)

La postfazione di George Orwell è un’attenta analisi del romanzo americano dalla fine dell’ ‘800 fino al 1940 (anno in cui venne scritto “Nel ventre della balena”) e decisamente un omaggio, seppur onesto e neutrale, a Tropico del Cancro.

Chi scrive qui ha provato la medesima impressione che Orwell descrive nel dettaglio approcciandosi al romanzo di Miller: un’iniziale “repulsione a lasciarsi impressionare” e la successiva sensazione di un libro che lascia una sorta di “aroma” che nel tempo accresce anziché perdersi.

Vale decisamente la pena leggere con attenzione la critica di Orwell, un saggio chiaro e dettagliato che aiuta ad avvicinare Miller razionalmente ma anche con la simpatia e l’affetto che solo la condivisione di un comune sentire possono suscitare.

Nel ventre della balena indica la posizione di colui che, all’interno di una mobile posizione protetta e per nulla disprezzabile, attraversa parte della propria esistenza nelle privazioni ma restando sostanzialmente felice.

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Conclusioni

L’apparente distacco con cui Henry Miller sembra trattare le relazioni non dovrebbe far pensare a una generale indifferenza da parte dello scrittore nei confronti del prossimo: è anzi proprio nei rapporti individuali più che nei grandi sconvolgimenti politici che è possibile cogliere una dimensione a misura umana, osservare le fragilità e le miserie con l’umiltà e l’empatia sufficiente a condividerle, in modo non giudicante ma libero, fondamentalmente anarchico e carico di cuore.

Il pensiero di Henry Miller fu di fatto piuttosto antropocentrato ma la sua opera include contenuti che, resi universali, possono essere applicati a concetti di liberazioni più complete e generali.

In questo senso lo scrittore ci lascia in eredità una grande risorsa che non deve essere avversata per la sua scabrosità ma compresa nella sua umanità, per divenire stimolo prezioso alla vita e al rispetto di questa in tutte le sue forme.

Con queste premesse è possibile decidere di uscire dal ventre della balena e osservare l’esistente da altre, innumerevoli prospettive.

Intervista a Henry Miller

Crediti immagini:

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