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“… non sei Alice
E il coniglio non c’è
Sei in mezzo al deserto
E nessuno è con te.”Giovanna Tatti
Nel saggio “Il pensiero immobile” Giovanni Callegari e Carlo Viberti analizzano la connessione fra potere e violenza nel rapporto tra i generi da un punto di vista storico, sociale e psicoanalitico.
Nella loro indagine accurata e allo stesso tempo divulgativa, di scorrevole lettura e accessibile comprensione, non c’è pretesa di esaustività, né intento di suggerire sempre soluzioni o risposte a tutti i quesiti.
Viene piuttosto agevolata una riflessione che si articola attraverso un percorso di ricostruzione delle ragioni per le quali ad oggi la violenza di genere persiste, sebbene da un punto di vista legislativo si siano raggiunti, almeno nella società cosiddetta “occidentale”, standard democratici.
Tuttavia, come ricorda la dottoressa Giovanna Tatti nell’introduzione citando Hannah Arendt e Liliana Segre, “non tutte le leggi sono giuste”. A questo si aggiunge il fatto che le conquiste in ambito legale non portano automaticamente ad una immediata inversione del pensiero.
Per questa ragione gli autori si addentrano in un’analisi che è sempre politica, ossia sociale.
L’immagine di copertina, opera della grafica Sabrina Mossetto, è esemplificativa del filo conduttore del libro racchiuso nel titolo stesso: “pensiero immobile” è, come sostiene la direttrice della Casa di reclusione di Bollate Cosima Buccoliero nella sua presentazione, “il pensiero maschile che opprime le donne”, definito apparentemente “inamovibile”.
Una serratura a forma di cuore arrugginito in campo nero indica la subordinazione del genere femminile ma anche la prigionia del pensiero entro schemi fissi le cui origini, proprio a causa della distanza nel tempo, non vengono messe facilmente in discussione.
La cristallizzazione di un pensiero introiettato sia dagli uomini sia dalle donne rende difficile evidenziarne la fallacia etica e logica e complica l’insorgenza di una spinta evolutiva a causa di forti resistenze.
L’esempio di Antigone e Ismene
Una valida introduzione viene fornita dalla citazione che Giovanna Tatti fa di “Antigone”, il dramma di Sofocle che correla condizione femminile e violenza del potere maschile e patriarcale.
In entrambe le due sorelle Ismene e Antigone è rappresentata la consapevolezza della posizione femminile in ambito sociale e della minaccia del castigo in caso di eversione; ognuna agisce tuttavia in modo diametralmente opposto all’altra: con timore e rassegnazione la prima, con un atto di insubordinazione la seconda.
Sebbene la scelta di Antigone rappresenti un atto di libertà, a vincere sarà il potere patriarcale che eserciterà la sua violenza anche e soprattutto per non apparire “meno maschio”.
Sarebbe interessante in un ipotetico seguito de “Il pensiero immobile” analizzare a tal proposito la corrispondenza che lega la disparità di genere con l’omofobia e la transfobia, queste ultime non a caso spesso confuse fra loro, nonché il timore e il rifiuto, da parte del potere maschile, di quanto non rientri nel dualismo di genere.
Sarebbe anche interessante spingersi fino ad individuare nel patriarcato bianco, “occidentale”, normato unilateralmente, l’origine di ogni forma di discriminazione e di conseguente sopraffazione.
La non accettazione di ogni ambiguità o divergenza dalla norma stabilita da un ristretto gruppo dominante in nome del mantenimento di un ipotetico status quo tende sempre a generare violenza: questo instaura una profonda corrispondenza con il discorso che “Il pensiero immobile” porta avanti.
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Un punto di vista concreto
L’indagine psicoanalitica che gli autori pongono in atto muove dall’osservazione di donne contemporanee calate nei loro ruoli reali o attribuiti dalla consuetudine, di quelle velatamente discriminate e di quelle che subiscono forme di violenza a tutti gli effetti; dell’approccio che i media adottano nel riportare gli accadimenti e delle testimonianze dei sex offender che hanno compiuto femminicidio.
Il libro descrive le case di accoglienza, le loro regole, le difficoltà che molte donne con bambini incontrano nell’adattarsi al luogo e nel riconoscere il loro problema.
Allo stesso modo nei racconti dei colpevoli si percepisce un pregresso di negazione della natura sessuale dell’omicidio (antecedente al percorso psicologico) e un residuo tentativo di motivazione delle proprie azioni.
E’ proprio questa sorta di spiegazione fornita caso per caso ad allontanare il lettore dalla possibile ipotesi di “follia” riguardo all’omicida, rendendo quest’ultimo incredibilmente vicino.
Gli autori prendono le distanze da ogni forma di sensazionalismo prediligendo un’analisi rispettosa, scegliendo testimonianze di donne che non necessariamente hanno risolto per intero le loro questioni sospese.
Viene così restituita una verità più scarna di quella che ci si aspetta in un’epoca di televisione e social media in cui tutto è mirato a suscitare sentimenti di totale accettazione, di totale repulsione, di assoluto struggimento o di assoluta credulità, ai limiti dell’inverosimile e dell’irreale, “dove tutto è commentato” e per questo niente più è ragionato e davvero compreso.
Lo sfondo dello studio è quello del clima sociale attuale con le sue incertezze, il suo malessere, i rapporti virtuali, il bombardamento di informazioni.
Gli autori ammettono che nella loro onesta ricerca di risposte, nel loro tentativo di comprendere perché il pensiero di dominio sul femminile persista, sono sorte nuove domande.
L’impiego di un metodo, tuttavia, ha permesso loro di affrontare con mente aperta le questioni che si ponevano man mano e di raccogliere nella loro opera le indicazioni per un itinerario in direzione delle risposte.
Donne nel tempo
Donne nel tempo è il titolo del terzo capitolo.
E’ particolarmente interessante non solo perché qui vengono abbozzati ritratti di donne del passato che hanno lasciato un segno in una storia dominata a tutti gli effetti dagli uomini ma anche perché questi ritratti non sono sempre, come il lettore forse vorrebbe, “positivi”.
Questo capitolo è importante perché aiuta a smantellare il “sessismo benevolo”, ossia quel tipo di sessismo subdolo che rinchiude il genere femminile in uno stereotipo di dolcezza e tenerezza, di sensibilità, di leggera irrazionalità e isteria, generatore di madri e mogli affettuose, obbedienti e rassegnate, regine del focolare e compagne silenziose.
Solo all’uomo, così sostenuto fra le mura domestiche, sarebbe invece riservata una vita pubblica più ampia e una fama più consona.
Queste etichette tanto decantate quanto schiaccianti, interiorizzate dalla maggioranza delle donne, incastrano queste ultime ancor più in un ambito di sudditanza e in un rapporto asimmetrico, agendo negativamente sullo sviluppo della personalità di colei che le subisce e preparando il terreno per il “sessismo ostile” in caso di sconfinamento della donna dall’ambito a lei destinato.
Il sesso non induce il pensiero, si può affermare in risposta a una delle domande provocatorie che gli autori pongono. Il pensiero esiste senza focalizzarsi su un sesso ma inevitabilmente sconterà il peso sociale e l’idea di come si dovrebbe essere di fronte alle aspettative degli altri.
“Donne nel tempo” regala appunto un excursus storico di personaggi femminili che sfuggono al concetto convenzionale dell’essere donna.
Questo non significa che le personalità proposte siano, in positivo o in negativo, totalmente sganciate dai modelli fissi e dall’idealizzazione del femminile.
Semplicemente si tratta di persone che, in base al loro temperamento, alle loro capacità e forze e al momento storico in cui sono vissute hanno fatto qualcosa di discrepante rispetto a quello che ci si sarebbe potuti attendere.
Da Ipazia a Olympe de Gouges, da Courage a Madame de Pompadour, da Jeanne d’Arc a Matilde di Canossa, passando per Ildegarda di Bingen, Artemisia Gentileschi e Beatrice Cenci, per le “streghe” del Cinquecento e per Amelia Bloomer, che lottò per i diritti delle donne e per l’etica del vegetarismo, fino a Marie Curie, a La Goulue, a moltissime altre e alla dimostrazione dell’8 marzo 1917 a Pietrogrado, a Frida Kahlo, Virginia Woolf, Rosa Parks, madre Teresa di Calcutta e Simone de Beauvoir: donne che hanno lasciato un segno, anzi, persone che hanno lasciato un segno e ricordate qui in quanto donne per il fatto che ancora viviamo in una società patriarcale che soffoca l’eterodossia, soprattutto se femminile.
A completamento di questa elencazione, il capitolo successivo si occupa dei mutamenti legislativi e di costume tendenti all’uguaglianza dei diritti fra sessi dalla seconda metà dell’Ottocento ai giorni nostri in Italia.
Molto è cambiato dal 1865, quando il Codice di famiglia non riconosceva alla donna il diritto di gestire beni economici e di comparire nella vita pubblica; solo successivamente fu permesso alle donne l’accesso a studi superiori ma ancora impedendo che le conoscenze acquisite si potessero praticare attraverso lo svolgimento di una professione.
Il patriarcato, che si origina dal bisogno di controllo della “proprietà” e che affonda probabilmente le radici in epoca neolitica, si continua ancora a sostenere ponendo ciò che gli è subordinato nell’impossibilità di raggiungere una propria autonomia.
Le origini del dominio (e le soluzioni ai problemi che il dominio crea)
La presunta naturalità dei ruoli e degli schemi immobili è rivendicata dai rapporti di forza generatori di un patriarcato che ha sostanzialmente superato mutamenti sociali, guerre, rivoluzioni, pensieri scientifici, inurbamento, laicizzazione, cultura digitale.
Sebbene l’emancipazione femminile oggi faccia sì che molti uomini non sappiano più in quale modo porsi nei confronti delle donne – a causa della messa in discussione della fissità dei ruoli – sembriamo ancora lontani dal conseguimento di quella parità che dovrebbe, più che al sesso, guardare alla singola persona.
Si potrebbe allora scoprire che esiste una pluralità di sfumature nell’essere uomo o donna o altro, una varietà di pensieri, attitudini, desideri così vasta che ridurre tutto a un binarismo apparirebbe un sadico gioco linguistico di basso livello.
Lungi dall’appiattire i concetti di “uomo” e “donna” a due categorie che dovrebbero solamente acquisire consapevolezza del valore proprio e altrui, sarebbe utile una critica all’“uguaglianza a tutti i costi”, sottolineando con forza le differenze di ogni individuo dagli altri tale da rendere impossibile il sussistere di ogni concetto di “categoria”.
Quest’ultima, almeno, è una delle riflessioni cui Il Samsara dei Libri è pervenuto attraverso gli spunti forniti dal saggio di Viberti e Callegari i quali, con il loro “finale aperto”, spingono il lettore verso le possibili soluzioni al problema del dominio.
La vittima
Per concludere le disordinate considerazioni su “Il pensiero immobile” (non si è seguito qui l’ordine reale dei capitoli, né tutti i capitoli sono stati citati) è necessario fare un passo indietro per guardare ancora a chi è al centro del libro, e farlo da un punto di vista psicologico/sociologico, ossia dal punto di vista d’elezione dei suoi autori.
Rifiutare fin d’ora l’esistenza della categoria “donna” non sarebbe infatti utile a smantellare millenni di idee e rigidità concettuali che la riguardano. Per poter andare oltre, è necessario riconoscere come questo “gruppo” subordinato esista: solo così è possibile minare le basi dell’oppressione e pensare di smantellare le categorie.
Proprio per questo il capitolo si intitola “la vittima”: perché la storia che da sempre è scritta con un occhio di riguardo per i vincitori ha anche sempre dimenticato o censurato l’esistenza dei vinti.
“Vittima” è un termine che spaventa anche il lessico giurisprudenziale; è la parte di minor interesse per il pubblico che seguendo una vicenda di violenza preferisce concentrarsi sulla punizione dell’aggressore.
Gli autori procedono con l’esposizione di diverse teorie che, a partire dal secondo dopoguerra, cercano di definire chi è la vittima, quale correlazione vi sia fra essa e il reo e quale fra essa e la condizione sociale vissuta.
In particolare vengono affrontati diversi approcci sociologici: quello di Durkheim per il quale il reato è conferma di coesione per il gruppo sociale “sano”, quello di Schutz, in cui la vittima ma anche chi ad essa è vicino subiscono uno stato di spaesamento e perdita di certezze, quello di Goffman, dove la vittima subisce la seconda violenza dello stigma, quelli di Matza e Sykes per i quali il reo nega l’importanza della vittima e limita il proprio senso di colpa.
Conclusioni
Come anticipato, gli autori non forniscono soluzioni preconfezionate; tuttavia sottopongono al lettore alcune questioni cruciali.
La disparità di giudizio morale verso donne e uomini, soprattutto in ambito di libertà sessuale, è palese eppure non ancora superata.
Le aspettative nei confronti dei risultati delle attività delle donne poi risultano essere sempre superiori a quelle attese dagli uomini, caricando le prime di un peso a volte troppo gravoso e rendendole rinunciatarie.
Alcune conclusioni si possono trarre.
E’ necessaria e urgente una prospettiva diversa che sia in grado di liberare le donne e gli uomini dai pesanti ruoli subiti e dal timore del fallimento eventuale derivato dall’impossibilità di sostenerli costantemente.
E’ importante una riorganizzazione dei gruppi femminili discriminati in un’ottica non di separatismo ma di contesto protetto in cui riappropriarsi delle singole – diverse – individualità.
E’ indispensabile una visione dell’altro che ne rifiuti la definizione in base a una singola caratteristica e l’appiattimento in base alla presunta appartenenza a una tipologia di gruppo.
Occorre anche rivedere la scala gerarchica dei valori che è stata costruita nel tempo: non il disperato tentativo di identificazione con il gruppo dominante darà un privilegio duraturo a chi subisce subordinazione; solo l’abolizione di ogni scala arbitraria di valori, l’abbattimento di ogni aspettativa normata, la rivalutazione del soggetto per se stesso, in quanto esistente e meritevole di considerazione potranno garantire libera espressione.
Lo studio e la conoscenza giocano, come in molte questioni simili, un ruolo fondamentale nell’abbattimento delle discriminazioni a livello mentale profondo.
Le strutture educative – famiglia e scuola in primis – devono evolvere verso un discorso diverso da quello conservatore e omologato che hanno finora sempre seguito.
Le singole persone hanno la responsabilità di auto-educarsi all’approfondimento di sé e dell’altro e di prendere le distanze in modo sempre più consapevole da un pensiero che da immobile si può trasformare in un destabilizzante fermento di idee.
Video della conferenza di presentazione de Il Pensiero immobile
Sito web dell’Associazione Metis di Torino
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Il pensiero immobile. Potere maschile e violenza di genere, Giovanni callegari e Carlo Viberti,StreetLib, 2020