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Etologia cognitiva, alla ricerca della mente animale

L’empatia, senza alcun dubbio, consente di evitare sia l’interpretazione per proiezione, per esempio l’antropomorfismo banale, sia quella per distanziamento, la reificazione

Abbiamo data per certa una distinzione profonda, la presunzione d’essere speciali e non semplicemente specifici

cit. Roberto Marchesini, Etologia cognitiva

Etologia cognitiva” è un saggio scientifico relativo a una branca delle scienze naturali nella quale sono prioritarie l’osservazione paziente e prolungata su larga scala, la metodologia e la corretta interpretazione dei dati raccolti; muovendo pertanto dall’etologia tradizionale di studiosi come Konrad Lorenz, l’etologia cognitiva fonda le proprie basi concettuali.

L’autore è altresì filosofo; la sua prospettiva rientra nella corrente del postumanesimo nella misura in cui egli vede scalzata, scientificamente e filosoficamente, la centralità in cui l’uomo ha voluto porre se stesso e le proprie tipicità rispetto alle specificità degli altri animali e alle differenti intelligenze individuali e di specie.

Il libro è di fatto incentrato sull’individualità di ogni singolo animale e prende le distanze da errori di distorsione prospettica (per la quale vengono opposti all’umano tutti gli altri animali, visti come massa indistinta) e di distorsione riduzionista (per cui viene negata la soggettività dei non umani).
Il saggio di Roberto Marchesini va pertanto letto tenendo costantemente presente che quanto viene posto in evidenza ha a che fare con tutti noi animali; utilizzando questa chiave di lettura, che l’autore in qualche passo si premura di ricordare, il testo risulta semplice da capire poiché tratta di esperienze che ciascuno, in quanto animale, conserva nel pregresso e ha modo di comprendere a livello profondo.

Quello cognitivo è peraltro il ramo dell’etologia che evidenzia la coscienza e la consapevolezza di sé di chi è già, prima di tutto, soggetto; il singolo viene dunque indagato attraverso un approccio di tipo mentalistico (per quanto la soggettività, definita dall’autore come “l’infedeltà a un canone”, non risieda in un organo particolare).

L’analisi deve inoltre essere priva quanto più possibile di pregiudizi, fermo restando che la singolarità di un individuo osservato non può assurgere a esemplificazione dell’intera specie di appartenenza.
Affinché si possa parlare di caratteristiche comuni resta dunque necessaria, come si è detto sopra, un’osservazione che prenda in esame un alto numero di soggetti.
Solo così sarà possibile individuare quelle caratteristiche intraspecifiche e interspecifiche che ci rendono tutti animali, nelle differenze e, in misura ampiamente superiore, nelle somiglianze.

La mente, dunque, è la vera linea portante del libro; mente che rileva, modifica e organizza i dati in modo dinamico, mente che raccoglie variabili e le trasforma, mente che permette l’esistenza nel qui-e-ora. Mente che è desiderante, che si pone e che risolve o tenta di risolvere problemi in modo mai casuale, mente irriducibile agli automatismi di cartesiana memoria poiché capace di una sintesi profondamente diversa dalla semplice somma degli stimoli ricevuti.

Il grande lavoro dell’etologo è proprio ripercorrere la strada mentale che porta al comportamento, ossia alla manifestazione dell’interiorità, dei bisogni e delle aspirazioni che sono caratteristica e patrimonio dell’animale e che nessuna macchina può avere.

Apprendimento e filogenesi

In risposta a quella parte della filosofia che ritiene inconoscibile l’alterità si delineano i principi evoluzionistici di Darwin. Questi mettono in luce la filogenesi, ossia la primogenitura comune e la storia di milioni di anni attraverso la quale ogni vivente ha avuto parte attiva nei propri mutamenti.
In base a questi fattori l’alterità non solo è conoscibile: diviene ri-conoscibile.
Anche l’apprendimento, costruzione di nuove cognizioni frutto dell’esperienza, è strettamente correlato all’innato: il cucciolo, più che scoprire, di fatto riscopre meravigliandosi il mondo di cui è già intrinsecamente ricco, divenendo via via “più presente”.
Tale memoria filogenetica, lungi dall’essere riducibile a semplice meccanismo istintivo, necessita di esercizio e affinamento continui in un “allenamento” di cui il soggetto è sempre protagonista.
Le diversità fra specie, sotto questa luce, non sono pertanto da ricondursi a una differenza aprioristica ma all’interazione con l’ambiente e alla parte attiva di ogni individuo.

La mente è in evoluzione continua, mossa costantemente da istanze che si riflettono in comportamenti frutto dell’interiorità.
L’animalità, come sostiene l’autore nel video di una sua conferenza, è definibile come fabbrica di predicati, i quali nulla tolgono alla singolarità dell’individuo che, al di là delle ovvie dotazioni di specie, conserva il proprio profilo personale e gestisce liberamente sia le dotazioni sia gli apprendimenti successivi.

L’autore descrive schematizzando il processo di apprendimento e pone l’accento sulla non omologazione delle reazioni agli stimoli che allenano il muscolo neurobiologico (e che, se vengono a mancare come accade negli allevamenti e in generale in tutte le situazioni di deprivazione, sono causa di gravissimi danni psicologici e di profondo malessere).

La vita stessa, nella sua relazione con l’esterno, è apprendimento; il gioco e le altre forme di socialità, lo sono.
L’apprendimento è visibile nelle stesse differenze che esistono fra soggetti riguardo ai molteplici modi di imparare, tutti riconducibili alle personali propensioni, al contesto, certo, ma anche e soprattutto alla motivazione: tutto è apprendimento e tutto ha a che fare con l’individualità, anche la socialità stessa.

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Socialità e comunicazione: il bene comune

Ulteriori indici di soggettività, evidenze quali socialità, adattamento e comunicazione rivelano l’espressione delle disposizioni individuali.
Il corpo nella sua interezza, e non il comando della mente che in realtà non ne dispone come vorrebbe una cieca visione dualistica, di fatto “è”: da questo scaturiscono il pensiero e l’essere senziente in grado di percepire quelle emozioni che alimentano la riflessione e le idee. L’essere è peraltro esistente e senziente anche al più ampio livello inconscio.

L’individuo non è vincolato indissolubilmente alle pressioni selettive e in generale a un codice dal quale non può esulare: esso è dotato di creatività e di libero arbitrio.
La sua possibilità di scelta può portarlo ad infrangere i comportamenti ipotizzati da un’analisi superficiale e ad operare scelte apparentemente controproducenti che hanno come fine il bene di un altro individuo o il bene comune.
Questo processo non è a innesco e ancora una volta rivela la mente che lo sottende e la sua potenziale imprevedibilità: considerazione della situazione, scelta degli obiettivi, decisione del percorso, valutazione dei rischi, cooperazione, negoziazione, memorizzazione.

L’antropomorfismo critico (scientifico) conduce peraltro al riconoscimento nell’altro animale di un carattere condiviso che si è voluto storicamente disconoscere al fine di poter disporre senza problemi etici degli altri individui non umani.

L’individualità, sostiene Marchesini, è una declinazione della specie e la specie, si può aggiungere, è a sua volta una declinazione dell’animalità.
Una valutazione dei viventi che tenga in considerazione solo alcune peculiarità ritenute esclusive e stabilite arbitrariamente di fatto è anti-scientifica e cieca o disonesta (ad esempio stabilire una gerarchia di valori tenendo conto solo di alcune espressioni dell’intelligenza, presumendone la presenza solo in alcune specie/individui, allontana dalla corretta visione orizzontale delle relazioni e porta alla negazione di quelle caratteristiche in altri soggetti).

Quello che si deve fare è piuttosto un lavoro comparativo, che molto di più è in grado di dirci sulle varie specie, inclusa la nostra, e che di fatto è l’unico vero metodo scientifico poiché scevro di preconcetti e libero dalla forzatura del mantenimento dello status quo gerarchico.

Una visione critica

Il saggio di Marchesini ha come obiettivo di esplicitare le conoscenze relative alla mente animale, conoscenze raggiunte attraverso lo studio e l’osservazione scientifica.

Mai come oggi il lavoro dell’etologia cognitiva è stato più utile: in una società in cui la maggior parte degli umani è in grado di riconoscere per proiezione nell’altro animale la soggettività e di disconoscerla subito dopo per abitudine, è evidente che anche la nostra specie ha perso la consapevolezza della propria natura e di un rapporto sano con il resto dell’esistente.

Questa situazione ha conseguenze gravissime dalle quali nessuno può dirsi immune: i non umani versano in condizioni drammatiche sia in natura, dove sono relegati in spazi ristretti con risorse sempre più esigue, sia all’interno degli allevamenti e dei macelli, impiegati come macchine da produzione e come oggetti da reddito, sfruttabili, vendibili e portatori di un valore di natura esclusivamente economica.
Gli umani, d’altra parte, allontanandosi dalla corretta percezione della realtà, hanno costruito gabbie senza sbarre attorno a se stessi, arrivando alla soppressione delle proprie esigenze e immolandosi in nome di un sistema societario che a tutti gli effetti li reifica, lasciando loro la fantasia di essere ancora proprietari della propria persona.

In realtà, sostiene Marchesini, solo “da lontano” i comportamenti individuali all’interno di una specie sembrano tutti uguali; c’è da chiedersi perciò quanto la nostra specie sia andata lontano e fuori strada.

E’ importante, per il bene comune, che il genere umano inizi a liberarsi dall’inquinamento di millenni di pregiudizi e visioni distorte, smettendo di smarcarsi dalla sua stessa animalità e guardando alle altre specie come a un’ancora di salvezza capace di indicargli la giusta direzione e permettendogli, gioiosamente, di riappropriarsi di tutto quanto ha perduto.

L’antropologia, che si può ritenere una branca dell’etologia, ha una responsabilità importante che al momento disattende: inquadrare quella umana come una specie fra le altre e non in opposizione ad esse, in una visione non gerarchica ma paritaria.
Se l’antropologia continuerà a non partire da una visione corretta del suo oggetto di studio, tutte le osservazioni sul campo avranno un difetto di fondo e non daranno una conoscenza reale e spendibile nella realtà.

In questo senso dovremmo essere grati a tutti quegli animali non umani che, torturati e non considerati neppure nel loro dolore, ci indicano la strada per la nostra stessa liberazione.
In fin dei conti Marchesini lo dice chiaro: al di là dell’analisi scientifica esplicitata nel suo saggio, a volte per rendersi conto della realtà “sarebbe bastato, forse, solo un po’ di buon senso”.

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Roberto Marchesini, Etologia cognitiva, alla ricerca della mente animale, Apeiron Editoria e Comunicazione S.r.l., 2018

Distribuzione: Safarà Editore

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