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Il museo diffuso “Lazzaro Acquarone”, il cui primo nucleo di arte sacra risale alla fine degli anni ’70 del Novecento, comprende diverse sezioni organizzate per nuclei tematici.
Alcuni dei suoi punti di interesse sono rintracciabili liberamente sul territorio a partire dalla frazione di Borgoratto e dalla borgata di Case Moline, risalendo lungo la mulattiera o percorrendo la strada provinciale 30 in direzione Lucinasco; lungo quest’ultima direttrice si incontrano pannelli che segnalano la presenza dei siti di interesse etnostorico all’interno degli uliveti, più raramente del bosco, raggiungibili a piedi in genere con breve camminata.
Le altre e principali sezioni sono il museo di Arte Sacra, il museo etnografico e la ricostruzione di una casa contadina di fine ‘800, oltre alla parrocchiale di S.Antonino, la chiesa di S. Stefano, il santuario della Maddalena e le altre chiese e cappellette della zona.
Degni di nota la sopravvissuta parte del castello dei Ventimiglia, i carrugi del paese con la Casa Comunale e alcuni portali scolpiti che spiccano sulle antiche abitazioni in pietra a vista.
La sezione di Arte Sacra nell’oratorio di San Giovanni Battista
La sezione di Arte Sacra è allestita all’interno dell’oratorio dei Disciplinanti di San Giovanni Battista, nel centro del paese.
Forte ed organizzata è stata nei secoli la presenza delle confraternite nel Ponente Ligure; associazione di laici dediti a preghiera, penitenza e opere di carità e catechesi, l’esistenza della Confraternita di San Giovanni Battista è attestata in Lucinasco sin dal 1585 con sede di riferimento in un oratorio estremamente semplice e di piccole dimensioni, modificato negli anni sino alla realizzazione, intorno alla metà del XVIII secolo, dell’attuale struttura barocca a navata unica.
Interventi di restauro e modifiche sono state tuttavia effettuate sino al XIX secolo.
Ad oggi vi si conservano arredi e oggetti d’uso liturgico della Confraternita e dell’oratorio stessi oppure provenienti da chiese del circondario.
L’opera di forse maggiore interesse presente all’interno del museo è il “Compianto sul Cristo morto”, gruppo ligneo policromo della fine del XV secolo, formato da otto figure a grandezza quasi reale, opera di uno scultore anonimo locale dell’area ormeasco-arrosciana.
Il gruppo, proveniente dalla vicina chiesa della Maddalena e trasportato all’interno del museo per ragioni conservative e di sicurezza, è caratterizzato da intensa e realistica espressività e rappresenta un notevole esempio della scultura lignea del medioevo ligure.
Paramenti liturgici, testi sacri, sculture a tutto tondo e altri reperti risalenti all’epoca compresa dal XV al XIX secolo sono conservati all’interno e all’esterno delle vetrine del museo.
Fra questi è un ciborio ligneo esagonale con le facce dipinte a tempera, opera di Giulio De Rossi, proveniente dalla parrocchia di Conio.
Il De Rossi, pittore nativo di Diano Castello ma di famiglia originaria fiorentina, è stato attivo nel Ponente Ligure nel XVI secolo.
Nella sala museale sono conservate anche opere di Lazzaro Acquarone (1540-1613), scultore e commerciante di tessuti nativo di Lucinasco e dedicatario del museo.
Si tratta di un personaggio insigne all’interno del panorama lucinaschese della seconda metà del XVI secolo e dell’inizio del XVII.
In questa sezione sono custodite alcune sue piccole sculture in marmo fra cui la Madonna della Misericordia dell’inizio del XVII secolo e il bassorilievo in ardesia a lui attribuito con dipinto ad olio “Il martirio di Santo Stefano”.
Lazzaro Acquarone è ricordato anche come figura filantropica in seguito al lascito testamentario del novembre del 1613, a seguito del quale venne istituita la cappellanìa Acquarone, ente promotore dell’accoglienza e dell’ospitalità dei poveri e di una istruzione religiosa e scolastica di base.
Il testamento del 1613 disponeva l’acquisto di una casa per la somma di lire 100 e della sistemazione in essa di letti e biancheria, nonché il mantenimento dei viandanti poveri a pane e vino per tre giorni.
L’istituzione, legata ai movimenti e ai traffici della “via marenca”, era ancora esistente all’inizio dell’ ‘800.
In questa occasione si istituì inoltre l’obbligo di insegnare la dottrina cristiana e la grammatica nelle domeniche e nei giorni festivi; nell’aprile del 1845 si ha ancora notizia documentata del funzionamento della scuola, quando il consiglio comunale ne richiese al governo il riconoscimento.
La sezione etnografica
In alcuni locali prossimi all’oratorio e di proprietà della Chiesa è allestita la sezione etnografica, realizzata in ambienti disposti su tre differenti livelli.
Al pianterreno, entrando, è subito visibile la ricostruzione di un frantoio per olive (“gombo” o “gumbu”, in dialetto locale) a sangue, ossia azionato meccanicamente da un mulo.
I macchinari e gli attrezzi sono originali, già presenti sul luogo o frutto di donazioni.
In altri ambienti si possono visionare gli strumenti legati al ciclo del vino e delle castagne e una raccolta importante di attrezzi agricoli.
La ricostruzione di una casa contadina
Nei pressi della sezione etnografica è presente la ricostruzione di una casa contadina di fine ‘800, ammobiliata e arredata con abbondanza di suppellettili d’epoca.
Ricreata in un antico edificio in pietra e sviluppata prevalentemente in altezza, è costituita da tre piani.
L’ingresso a pianterreno consente l’accesso diretto alla cucina, angusto e rustico spazio in cui protagonista è il camino, utilizzato per il riscaldamento e per la cottura dei cibi.
Alla sinistra è presente una “garumba”, lastra piana in pietra lavorata con canaletta di scolo e beccuccio con funzione di raccolta dell’acqua utilizzata per il lavaggio dei panni.
Completano l’arredo pentole e stoviglie in alluminio e rame, bottiglie, mensole, canovacci, oggetti in legno e un mortaio per la preparazione del pesto.
Al piano sovrastante un piccolo studio con tavolino e alcuni libri (indice della cultura dell’ipotetico proprietario-contadino) consente l’accesso alla zona notte, con testiera del letto in ferro battuto.
Di fatto questo tipo di abitazione, in uso nella zona fino al secondo dopoguerra, è specchio di una società contadina che ha attraversato sostanzialmente immutata quasi due secoli e che solo a seguito del progressivo abbandono dei campi e al fenomeno della concentrazione demografica nei centri urbani lungo la costa ha introdotto una certa modernità, sopravvivendo, seppur in minor numero di unità, fino ai giorni attuali.
Le caselle
In ideale continuità con la sezione etnografica sono rintracciabili sul territorio alcune caselle, costruzioni in pietra a secco tipiche soprattutto del ponente ligure ed in particolare dell’entroterra della provincia di Imperia.
La casélla du Càmpu, visibile con breve deviazione dalla provinciale 30, ha pianta circolare ed è molto ben conservata. La tecnica costruttiva di questo genere di edifici è preistorica e risale all’epoca preromana, quando questo tipo di costruzioni aveva funzione di riparo di fortuna nelle zone medio e alto-montane.
Con la conquista romana e lo sviluppo dell’economia agricola le caselle continuarono ad essere utilizzate quale riparo di pastori o per riporre gli attrezzi agricoli, raggiungendo grande diffusione in seguito al sopraggiungere dei benedettini in Liguria ed al conseguente impulso dato alla coltivazione dell’ulivo.
Costruzioni che nel piccolo ricordano i nuraghi sardi, come questi ultimi sono edificate sovrapponendo a secco pietre in cerchi concentrici, restringendone il perimetro sino alla chiusura nel soffitto sormontato generalmente da una “ciappa” più grande.
Le caselle tronco-coniche, in particolare, ricordano nella loro cupola il thòlos greco di uso abitativo o funerario.
Solitamente l’unica presa di aria e luce nelle caselle è costituita dall’apertura di ingresso, talvolta sommariamente richiusa con una porta in legno semplicemente accostata; nel caso della cosiddetta casella di Don Abbo in località Piuezzu, tuttavia, è presente un’apertura con funzione di finestra.
Questa casella è visitabile costeggiando la Maddalena, oltrepassandone l’abside e inoltrandosi di pochi passi nel bosco; in prossimità della costruzione si trova una lastra in pietra dalla quale sono visibili i panorami su Lucinasco e sulla media valle Impero.
Le caselle rientrano di solito in tre differenti tipologie: quelle a pianta circolare, quelle quadrangolari e quelle sottofascia.
In area lucinaschese sono presenti alcune altre caselle; quelle in prossimità della cima del monte Acquarone, in direzione del crinale percorso dalla via marenca e non distante dalla Cappelletta, sono particolarmente ravvicinate fra loro.
La parrocchiale di S.Antonino
Tornando al centro del paese, di fronte all’oratorio di San Giovanni Battista, sorge la chiesa di S.Antonino, o meglio dei Santi Stefano e Antonino, con doppia intitolazione dovuta alla progressiva perdita di importanza della chiesa di Santo Stefano sita nei pressi del laghetto, al di fuori dell’attuale centro storico.
La prima menzione della chiesa, allora semplice oratorio, risale al 1245. La sua nascita è legata alla signoria del Maro ed è stata funzionale alle famiglie stabilitesi nei pressi del castello del feudatario quale luogo di culto comodo alle nuove abitazioni.
L’originario nucleo di Lucinasco ubicato nei pressi della chiesa di Santo Stefano venne infatti progressivamente abbandonato nel corso del tempo: di esso non rimane più nulla eccetto la chiesa e il sagrato erboso che fu il primo luogo di sepoltura dell’area.
Il castello, residenza dei signori del Maro, ramo dei conti di Ventimiglia, seguì le vicende del feudo con la conquista di Lucinasco da parte di Giovanni Fregoso di Genova, il successivo ritorno a Onorato Lascaris dei Ventimiglia, i seguenti ulteriori scontri con Genova e infine la conquista sabauda del 1575, anno di distruzione del castello, di cui oggi permane la torre centrale restaurata ed adibita ad abitazione privata.
La chiesa di S.Antonino acquisì pertanto importanza nel tempo, venendo dotata di un fonte battesimale intorno alla metà del ‘500 e assurgendo al ruolo di “parrochialis” nel 1613.
Furono gli anni in cui si avviarono lavori di ampliamento e ricostruzione che proseguirono fino all’epoca contemporanea.
E’ probabile che parte della chiesa inglobi in una certa misura una porzione dei ruderi dell’adiacente castello.
Importanti e costanti migliorie vennero effettuate anche internamente al fine di ottenere maggiore simmetria delle cappelle.
La chiesa, a navata unica, presenta un altar maggiore di marmo intarsiato, opera dello scalpellino Domenico Stella, ed un prezioso ciborio marmoreo scolpito dal genovese Giacomo Porta.
Di rilievo anche le sei tavole in marmo bianco rappresentanti scene della vita della Vergine, opera di Lazzaro Acquarone, provenienti dalla chiesa della Maddalena.
Restauri ed abbellimenti si susseguirono fino ai giorni nostri; alcuni di essi si resero necessari per i problemi strutturali derivati da fulmini o da terremoti (quello del 1887 tuttavia non colpì in modo eccessivamente duro la parrocchiale di Lucinasco).
Fra i più recenti lavori vi sono quelli di Dante Freddi e di Piero Dalle Ceste, rispettivamente in relazione alla decorazione e agli affreschi della volta, risalenti alla fine degli anni ’60 del ‘900.
La chiesa di Santo Stefano
Al di fuori del centro storico, in direzione del monte Acquarone, una brevissima passeggiata conduce alla chiesa e al laghetto artificiale di Santo Stefano conosciuto anche comunemente come il Laghetto di Lucinasco, area del primitivo nucleo abitato precedente al progressivo spostamento delle case intorno al castello dei signori del Maro.
Della chiesa si ha notizia documentata del 1281, data quasi certamente tarda rispetto all’edificazione effettiva dell’edificio.
Importanti lavori di ampliamento si ebbero dopo il 1424, in seguito all’ottenimento dell’autonomia dalla pieve dei Santi Nazario e Celso di Borgomaro, sotto le pressioni del rettore Pietro Domenico Guarnieri.
Di quegli anni è la lunetta sovrastante il portale, opera dell’architetto o lapicida Enrico de Verim, rappresentante una crocifissione e gli stemmi dei conti di Ventimiglia e dei Doria di Oneglia e danneggiata parzialmente da un fulmine nel 1942.
La rappresentazione araldica del bassorilievo è strettamente legata all’epoca di guerra durante cui venne risistemata la chiesa.
Le famiglie feudali del ponente (Del Carretto, Lascaris, Ventimiglia, Clavesana) si trovarono unite al fianco dei Visconti contro Genova, rappresentata da Giovanni Fregoso, fratello dell’allora doge Tommaso Fregoso. I genovesi, affiancati dai Doria, risultarono in quell’occasione vittoriosi, sebbene temporaneamente e con alterne vicende.
L’aspetto interno della chiesa di quegli anni non è noto; essa aveva perso nel frattempo importanza per l’abbandono delle abitazioni circostanti, trasformandosi in chiesa cimiteriale e ricevendo nuovo impulso solo nel XVII secolo. Nel 1649 tuttavia un fulmine distrusse parte della chiesa che rimase sostanzialmente diroccata per alcuni anni.
Nella seconda metà del 1600 andarono delineandosi le attuali forme interne, sebbene si abbia notizia di un ulteriore fulmine che nel 1810 distrusse la volta obbligando alla ricostruzione.
Come per la chiesa di S. Antonino, anche per Santo Stefano il terremoto del 1887 non ebbe conseguenze devastanti.
La Maddalena
Il santuario della Maddalena, noto anche con il nome di Madonna dell’Acquarone, è il monumento quattrocentesco meglio conservato della valle Impero, raggiungibile attraverso una deviazione che dalla strada per Vasia si inoltra per circa tre chilometri all’interno del bosco di querce e castagni denominato parco Nisurella o della Maddalena.
Di notevoli dimensioni se si considera la sua natura di chiesa campestre, il santuario è parzialmente sopravvissuto alla baroccata subita dalla maggioranza delle chiese locali durante il secolo XVII e per la sua importanza storico-artistica la sua facciata figura nello stemma del comune di Lucinasco.
La chiesa è in stile tardo-medioevale e alcuni lavori di ripristino sono valsi a conferirle nuovamente e in parte l’aspetto originario.
I conci in pietra, regolari soprattutto sulla facciata a capanna caratterizzata dal rosone traforato a merletto, sono visibili lungo tutto l’esterno e conferiscono rusticità e apparente solidità alla struttura.
Di fatto una curiosa leggenda narra che l’edificazione fu tutt’altro che facile poiché, trovandosi il cantiere nei pressi di un crocicchio, il diavolo stesso ne avrebbe ostacolato i lavori, vanificando di notte le fatiche diurne dei costruttori.
Tale narrazione popolare potrebbe rivelare oggettive problematiche date dall’instabilità del terreno, le quali avrebbero portato alla realizzazione del muraglione di contenimento sottostante il lato dell’edificio rivolto verso il paese di Lucinasco e tutt’ora esistente.
La data di inizio lavori è incisa su una pietra di fondazione posta internamente, all’estremità della navata di sinistra; fonti ufficiali recenti leggono la datatio come 1463 sebbene in alcuni casi precedenti essa sia stata individuata nel 1401, a causa forse della scarsa leggibilità dell’incisione. Esiste in ogni caso traccia di una struttura preesistente all’attuale, rinvenuta al di sotto della pavimentazione dietro l’altare in occasione dei restauri di fine anni ’70 e inizio anni ’80. Sembra inoltre che il luogo fosse stato già sede di un culto pagano la cui divinità sarebbe stata in seguito identificata con Maria Maddalena, santa destinataria di particolare devozione nell’area provenzale della fine del XIV secolo.
L’interno a tre navate e dotato di tre absidi presenta arcate sorrette da colonne decorate con capitelli diversi fra loro, recanti tipici elementi medioevali fra i quali sono riconoscibili alcune forme a spirale, probabili semplificazioni geometriche di motivi vegetali o schematizzazione del sole e dello stesso universo.
Poco è rimasto delle decorazioni interne originarie; anche le seicentesche formelle di Lazzaro Acquarone e il quattrocentesco gruppo ligneo “Compianto sul Cristo morto” sono stati traslati per ragioni di sicurezza rispettivamente nella parrocchiale di S. Antonino e nel museo di Arte Sacra.
Mentre è ancora visibile il soffitto affrescato dell’abside, attribuibile a Giovanni Cambiaso o ad artisti della stessa scuola cinquecentesca, sono purtroppo stati dealbati altri affreschi, secondo l’uso comune dei secoli successivi al XV, quando sono state ritenute eccessivamente ingenue e popolari le rappresentazioni didattiche della vita di Cristo e dei Santi.
La chiesa così spogliata emana un aspetto severo che non manca di esprimere ancora la genuina religiosità dei fedeli dell’epoca.
Unica sepoltura presente in loco è quella a pavimento dello scultore lucinaschese Lazzaro Acquarone, in posizione centrale e frontale all’abside maggiore, entro la quale è stato rinvenuto un secondo scheletro, probabilmente della moglie dell’artista.
Nel testamento Acquarone del 1613 viene fatta più volte menzione della chiesa della Maddalena e della presa in considerazione di essa da parte dei frati cappuccini quale possibile sede conventuale, ma non vi è motivo di ritenere l’esistenza specifica di un giuspatronato degli Acquarone che abbia conferito alla famiglia particolari diritti sul santuario. Risulta in ogni caso evidente l’influenza di questo poliedrico personaggio anche nella stessa denominazione originaria del santuario quale “Madonna dell’Acquarone”.
Sull’architrave della facciata è visibile una scultura con la data di fine lavori 1480, e la rappresentazione del trigramma di Cristo inscritto in una treccia sostenuta da angeli. Ai lati sono visibili la Vergine con il Bambino e una figura femminile, probabilmente la stessa Maria Maddalena.
Completano la decorazione la presenza di un uccello, di un fiore del tutto simile ad una rosa celtica, di due archi e due colonne impreziosite da un’ accurata lavorazione; in alto è nuovamente presente il simbolo della spirale.
Alla destra del portale, ad altezza uomo, è inserito un trittico di gusto arcaico scolpito a bassorilievo con le figure della Madonna col bambino affiancata da un santo e dalla Maddalena.
La sommità di tutto il perimetro della chiesa e la cima esterna delle absidi sono caratterizzate da archetti i cui peducci presentano talvolta decorazioni di vario genere, apparentemente casuali ed asimmetriche, tipiche dell’arte medioevale.
La tomba di Don Abbo detto “Il Santo”
Lungo la provinciale 30 che dalla frazione di Borgoratto conduce attraverso una salita a tornanti fra gli ulivi (circa 55.000 il numero attuale di piante presenti nel territorio) al paese di Lucinasco, si trovano alcuni altri punti di interesse facenti parte del museo diffuso Lazzaro Acquarone.
L’oratorio di San Giuseppe, piccola chiesa del XVIII secolo restaurata nel 1987, conserva al suo interno la tomba di Don Giuseppe Abbo, detto “il Santo”, cappellano ad Oneglia del Carcere Cellulare, poi divenuto Casa di Lavoro.
Don Abbo nacque nel 1856 da umile famiglia di Borgoratto; a ventiquattro anni si manifestò in lui la vocazione al sacerdozio e sette anni dopo, nel 1887, divenne prete.
Oltre all’impegno con i suoi “parrocchiani” prigionieri, con i quali condivise in parte la condizione di recluso, don Abbo operò nelle chiese di San Giovanni a Oneglia e di San Maurizio a Porto; eresse alla Fondura la chiesa di San Giuseppe rifatta in seguito dai Padri Giuseppini; istituì asili, donò elementi decorativi alla chiesa di San Pantaleone di Borgoratto.
Il ricordo che permane di lui è di una personalità semplice, non dotta ma attiva e dedita al sacrificio, cosa che gli valse da parte popolare l’appellativo “il Santo”. Detto anche il “prete dei bimbi” e ricordato fugacemente ne “Il Peccato” di Giovanni Boine, morì durante il bombardamento del 21 febbraio 1944, insieme alla sorella Santina, sotto le macerie del penitenziario.
Due giorni dopo, durante il funerale, la sirena annunciava un altro bombardamento, disperdendo in parte il corteo funebre che accompagnava il feretro verso Borgoratto.
La frazione di Borgoratto
La frazione lucinaschese di Borgoratto progredì contemporaneamente al graduale spopolamento dell’area della chiesa di Santo Stefano e alla formazione del nuovo nucleo abitativo sorto nei pressi del castello feudale.
Seguì le vicende di Lucinasco, essendo come quest’ultimo soggetto alla signoria del Maro, sviluppandosi già al termine del XIII secolo in funzione dei commerci e dello sfruttamento idrico e in contrapposizione con la vicina Chiusavecchia appartenente ai Doria di Genova.
La chiesa di San Pantaleone risale al 1489, data testimoniata dall’incisione sulla lunetta dell’antico portale inserito nella muratura laterale dell’attuale chiesa barocca.
La chiesa venne riedificata nella seconda metà del XVIII secolo, presumibilmente ad opera dell’architetto-capomastro Domenico Belmonte di Gazzelli. Tale attribuzione, sebbene non documentata negli archivi, è stata ipotizzata in considerazione delle analogie architettoniche con la coeva parrocchiale di Mendatica.
Non sono neppure certe le date di inizio e di fine lavori, sebbene risulti un prestito dell’aprile 1759 del priore Bartolomeo Ramella in rappresentanza della Confraternita di San Giovanni per la “fabrica della chiesa nuova” e si abbia notizia della morte di Pietrantonio Gandolfi “nel sparare una mina”, incidente avvenuto nel maggio 1754, forse per scavare alcune fondamenta.
Parte delle opere esistenti nel precedente edificio furono inserite in quello nuovo; è il caso del quadro della Madonna del Rosario e della tela con i santi protettori del paese collocata nell’abside.
Opera notevole è l’altare marmoreo settecentesco dedicato alla Madonna del Buon Consiglio.
Nell’ultimo secolo sono stati effettuati ulteriori interventi decorativi, anche in conseguenza del terremoto del 1887, e alcuni restauri del 1903. Al 1924 e 1925 risalgono l’alleggerimento del tetto e la donazione di statue mentre sono degli anni 1964-65 gli affreschi della volta.
A pochi metri dalla chiesa, presso l’oratorio di San Giovanni Evangelista, ebbe sede l’omonima confraternita.
In questo edificio è conservata una tavola di Giulio De Rossi, detto Pancalino, appellativo impiegato per indicare la paternità delle opere di tutti i tre autori della bottega a conduzione familiare.
Attraversando a piedi i carrugi del paese si incontrano svariati edicole e piloni legati alla vita delle famiglie paesane.
Una mulattiera che collega Chiusavecchia a Borgoratto e a Lucinasco passa per il sopra citato oratorio di San Giuseppe in località Torre.
La borgata di Case Moline
La borgata di Case Moline (o Molini), oggi scarsamente abitata e caratterizzata da antiche abitazioni dirute, è attraversata dalla mulattiera che da San Lazzaro Reale sale sino a Lucinasco, collegando quindi la via principale del Col di Nava con le valli di Oneglia, del Maro e di Prelà e, attraverso la via marenca, con la valle Argentina.
Si trattava di una percorrenza che acquisì grande importanza a partire dal Cinquecento, con l’intensificarsi dei commerci oleari con il Piemonte e con l’unificazione delle valli sotto il dominio sabaudo; essa collegava altresì con Borgomaro, all’epoca importante centro amministrativo delle comunità del Maro di cui Lucinasco faceva parte.
L’importanza di questo collegamento portò dunque all’edificazione del monumentale e costoso ponte sul torrente Impero (secc. XIV-XVI).
La borgata, un tempo detta semplicemente “i Molini”, fu importante centro di riferimento per la molitura dei cereali e, dal XV secolo, delle olive: è qui ancora individuabile un antico mulino “ a sangue”, di epoca feudale, dei secoli XIII-XV.
Prima dello sviluppo massivo della coltivazione dell’ulivo infatti erano largamente coltivati nel ponente ligure cereali e legumi, la cui produzione ora è certamente calata, e anche altre colture di cui resta memoria sul territorio in opere in pietra a secco come il “Pùssu da Càneva”.
La coltivazione della canapa in Italia e in Liguria fu importante e fiorente sino agli anni ’30 del ‘900. Se ne ricavavano materiali per l’edilizia, tessuti, reti, carta, olio combustibile, vele per barche, cordame, cibo e prodotti cosmetici.
Successivamente, l’incremento della produzione delle materie plastiche e la denigrazione del Thc avviata progressivamente fecero cadere in disuso questa coltivazione, reintrodotta solo ai giorni nostri con rigida regolamentazione della quantità di principio attivo ammessa.
Il seicentesco oratorio di San Pantaleo o Pantaleone di Borgata Molini, piccola chiesa con portico e finestre di devozione ai lati del portale d’ingresso, rappresentò luogo di fede per quanti si fossero trovati a percorrere l’allora importante via di comunicazione.
Della sua costruzione possediamo dettagliata documentazione, dalla prima edificazione risalente al 1625 sino a quella di altra e attuale ubicazione, compiuta dal 1637 al 1639.
Successivamente vennero realizzate le decorazioni interne e ampliamenti e modifiche negli anni a cavallo fra la prima e la seconda metà del Settecento.
All’interno della chiesa è presente un artistico paliotto marmoreo dell’altare con medaglione centrale scolpito.
In conclusione, la visita al museo diffuso si può completare con una libera scoperta dei carrugi e degli angoli nascosti del paese di Lucinasco, soleggiato villaggio di crinale sovrastante una collina di alberi d’ulivo.
L’utilizzo delle immagini degli interni degli edifici religiosi è stato autorizzato dalla Diocesi di Albenga-Imperia e dal preposto Ufficio dei Beni Culturali.
Crediti:
- si ringrazia il parroco don Stefano Mautone, della Parrocchia di Lucinasco – S.Stefano e S.Antonino, per la disponibilità e le informazioni fornite;
- si ringrazia la Diocesi di Albenga-Imperia e in particolare l’Arch. Castore Sirimarco, don Emanuele Caccia e don Luciano Massaferro per la collaborazione;
- si ringrazia Sabrina Mossetto per il logo di Terra di Ponente ora non più in uso se non sul canale YouTube collegato, la grafica e le immagini di copertina.
Fonti bibliografiche:
- Lucinasco, una comunità rurale del Ponente Ligure, Gianni De Moro, Tipografia F.lli Stalla, Albenga, 1984;
- Imperiesi nella Storia, Nerino Mariangeli A.Dominici, Oneglia, 1979;
- Villaggi di Pietra, Enzo Bernardini, Blu Edizioni, 2002
NOTA: questo articolo è stato pubblicato in data 26/08/2020 sul sito web Terra di Ponente, sito i cui contenuti sono stati trasferiti su Il Samsara dei Libri